Agenti di Commercio al femminile
Quando si parla di agenti di commercio si pensa sempre a figure maschili, ma Giovanni Di Pietro, Vice Presidente Vicario dell’USARCI, assicura che la presenza delle donne agenti è rilevante.
A quando risale l’ingresso nel settore degli agenti di commercio da parte dell’universo femminile?
Il boom degli agenti di commercio si è avuto tra gli anni 50 e 60 del secolo scorso. In quegli anni pionieristici l’agente di commercio, tranne rarissimi casi, era esclusivamente un uomo. Non vi era ancora stata l’evoluzione della società che ebbe inizio con il '68 e le battaglie delle femministe che hanno portato a vedere la donna non più come quella immagine stereotipata della fattrice e madre di famiglia, ma affidandole, nella società, un ruolo pari a quello dell’uomo.
Ma a suo avviso la professione di agente di commercio è indicata per una donna?
Ritengo che non vi siano professioni adatte all’uno o all’altro sesso, vi possono essere motivi di opportunità. Non vedo grosse differenze tra la promozione fatta da un uomo e quella fatta da una donna. Anzi, generalmente la donna è più diligente, approfondisce meglio gli argomenti, è più portata alla formazione, per questo in diversi settori viene quasi privilegiata.
Allora si procede verso una prevalenza delle agenti donna?
In verità no, le donne agenti non sono percentualmente molte: dai dati espressi dall’Enasarco sono circa 30.000, su un totale di circa 230.000 agenti: solo il 13% del totale.
Ma il numero degli agenti complessivi è in diminuzione, ogni anno si perdono circa 5 mila unità: quindi anche per quanto riguarda le donne si registra questo decremento?
In questo caso vediamo una controtendenza: sempre dai dati Enasarco risulta che le agenti donne nel 2013 erano 30.752, per passare nel 2017 a 29.254 con un calo del 4,87% di gran lunga inferiore a quello degli uomini passato dal 2012 al 2017 da 212.906 a 192.445 con una diminuzione del 9,61%.
Perché gli agenti di commercio donna sono così pochi rispetto agli agenti uomini?
Le motivazioni sono tantissime. Oltre a quelle che ho anticipato vi è da aggiungere il fatto che negli anni 50 e 60 le donne motorizzate erano poche, le strade non erano certamente quelle attuali, il dormire sempre o quasi in albergo era sconveniente, restare lontano dalla famiglia, dai figli, non invogliava certamente ad intraprendere questa bellissima attività.
Quindi la scarsa presenza è da attribuire esclusivamente ad un discorso di opportunità.
Assolutamente no, è vero che spesso la donna si trova a scegliere se prediligere la famiglia o il lavoro, ma questo accade perché, dalla società, il mondo dell’agenzia è visto dalla maggioranza degli addetti ai lavori, solo al maschile.
Significa che la donna è discriminata?
Discriminata è una parola forte e non coincide con la realtà, possiamo dire eufemisticamente che non è al centro delle attenzioni.
In pratica cosa significa?
Nel mondo del lavoro dipendente, sia pubblico che privato, la donna si è conquistata una serie di garanzie e di diritti: dalla maternità all’allattamento, alla cura dei minori; tutto questo in pratica non esiste a livello di agente donna. Guardiamo la Contrattazione Collettiva, si parla della donna solo per la maternità, concedendo la sospensione del rapporto di agenzia per una durata massima di 12 mesi, praticamente 9 mesi di gestazione e tre di allattamento. Non sembrano pochi 12 mesi. Non sono pochi, ma sono comunque insufficienti. Dodici mesi di sospensione dal rapporto significa per l’agente una perdita economica considerevole, in quanto non percepisce alcun compenso, anche se i clienti sono stati apportati dall’agente.
Inoltre, considerato che l’allattamento e le malattie dei minori assorbono giornate intere, ecco che l’agente, terminato il periodo di sospensione, rischia costantemente la risoluzione dal rapporto per colpa: in quanto in quelle condizioni è difficile raggiungere i target fissati dalle mandanti, rispondere alle continue ed assillanti chiamate del capoarea e dei direttori (i mastini delle mandanti) con la conseguenza non solo della perdita del mandato ma anche delle relative indennità di fine rapporto.
La stessa Fondazione Enasarco prevede per le donne agenti una indennità di maternità di € 2.500,00 ma solo se il reddito non supera i 70 mila € lordi: misera cosa considerato tutto quanto. Il rapporto di agenzia è però un rapporto di lavoro autonomo, l’agente dovrebbe gestirsi da solo e in qualità di autonomo non deve rendere conto a nessuno. Purtroppo non è proprio così. Per le mandanti siamo autonomi quando chiediamo diritti e ci vogliono dipendenti quando si tratta di doveri. All’atto pratico è comunque un rapporto parasubordinato: l’agente deve sottostare alle direttive impartite dalle mandanti, le quali negli ultimi anni sono diventate sempre più pretenziose ed inseriscono nei contratti individuali una serie di clausole da rendere quello di agenzia un rapporto vicino al subordinato, senza però averne i privilegi.
Perché secondo lei vi è così poca attenzione per le donne agenti?
Perché come dicevo prima il mondo dell’agenzia è maschilista, chi discute e scrive gli AEC è quasi sempre uomo, la donna si avvicina raramente al sindacato degli agenti, terminato il lavoro deve dedicarsi alla famiglia, tralasciando così l’importante lotta sindacale.
Cosa propone per far si che l’attività di agenzia commerciale sia ambita anche dalle donne?
Migliorare sicuramente le garanzie per la maternità. Occorre che i futuri AA.EE.CC. puntino alla tutela ed alla qualificazione della mamma agente prevedendo la corresponsione di una indennità mensile per i mesi di effettivo allontanamento dal lavoro, questo potrebbe essere previsto istituendo un Fondo Indennitario Straordinario (FIS), gestito eventualmente dall’Enasarco. Dovrebbe essere inoltre abolita per legge la clausola risolutiva espressa che prevede la risoluzione per colpa in caso di mancato raggiungimento del target o altre sciocchezze simili. Anche l’Enasarco dovrebbe farsi carico di alcune peculiarità, come il riconoscere alla mamma, almeno per il periodo di sospensione del mandato, i contributi figurativi (cosa che l’Enasarco non prevede in nessun aspetto della sua gestione previdenziale).
Fonte ElectoMag - autore Augusto Grandi