Libri: da San Siro ai fiori nel mondo, il successo di Rosi Sgaravatti in 'Una marcia in più'
(Adnkronos) - Da bambina contemplava il prato di San Siro. Ora è a capo dello Sgaravatti Group, un colosso della vivaistica e un tripudio di colori e profumi. E' Rosi Sgaravatti, una delle 22 imprenditrici protagoniste del volume 'Una marcia in più. Storie italiane di imprenditrici vincenti', di Manila Alfano, Giorgio Gandola e Stefano Zurlo, ed edito da Wise Society.
"A diciassette anni ho lasciato San Siro e sono andata a vivere con un’amica e, per mantenermi, lavoravo. Segretaria d’azienda, perché quelle erano le scuole che avevo frequentato", spiega. "Battevo a macchina, mai con le dieci dita, in un’azienda di reagenti chimici. Poi sono passata alla Coca Cola", continua. Nel 1964 il matrimonio con l’imprenditore Antonio Ferrari: "L’azienda era stata fondata da mio suocero, che era un genio. Inventava macchine per stampare materie plastiche e, non per caso, aveva conosciuto sua moglie all’ufficio brevetti. Lo stabilimento era a Vigevano, noi abitavamo a Milano, con le due bambine nate una dopo l’altra: Claudia, che è stata assistente di Draghi a Francoforte e ora lo è della Lagarde, e Sabina, che è con me in Sardegna". Poi la vita va come va e i coniugi si separano. "Mia suocera mi è sempre stata alleata, però la mia esistenza è cambiata ancora". C’è un incontro speciale e Rosi si lega a un altro industriale, Leone Sgaravatti, erede di una famiglia padovana di maestri del verde, giardinieri e vivaisti di grande tradizione, attivi ufficialmente dal 1820, in realtà ancora da prima. "Dopo un periodo di interregno mi sono trasferita a Padova". Insieme a Leone che sposa.
Poi, nel 1986, la tragedia e il nuovo, drammatico strappo. “Signora c’è stato un incidente, Leone Sgaravatti è morto”. Tagliato in due dal guardrail. Rosi si trova in una situazione complicatissima: sola, inserita in un contesto difficile, con un’azienda in crisi che fatica a sopravvivere. Circondata da persone diffidenti se non scettiche. "Ho seguito un master alla Bocconi che è stato fondamentale perché ho imparato le regole base della gestione aziendale e ho capito che alcune delle critiche da me formulate non erano campate in aria, ma purtroppo veritiere. Avevo ragione, occorreva uno scossone", spiega ancora. "Ci sono voluti dieci anni, ma ce l’ho fatta. Ho pagato i debiti, ho messo mano alla produzione, alle vendite, al marketing. A tutto. E intanto ho continuato a inventare giardini, vivai, terrazze. In Italia e all’estero", conclude.