Infojobs: in primi 6 mesi 2022 per 60,1% aziende più dimissioni dal lavoro rispetto al 2021
(Adnkronos) - A inizio 2022, il 41,1% delle aziende ha indicato come la sfida più importante dell’anno quella di attrarre e trattenere i talenti, leva chiave per la competitività in un mercato sempre più difficile, dove le dimissioni sembrano crescere, così come le difficoltà a trovare personale qualificato. Da questo spunto, emerso chiaro dall’indagine 'InfoJobs Trend HR 2022', InfoJobs, la piattaforma numero 1 in Italia per la ricerca di lavoro online, ha preso spunto per interrogare aziende e candidati, per approfondire il tema e fare un punto della situazione su questo 2022 che si avvia alla chiusura. Cosa è emerso dalla nuova indagine 'InfoJobs Attraction Retention'? Innanzitutto una conferma importante, da parte anche delle pmi. Nei primi sei mesi del 2022, il 60,1% delle aziende italiane ha riscontrato un numero maggiore di dimissioni rispetto al 2021, contro un 34,1% che non ha notato differenze ed una piccola parte (5,8%) che invece sostiene che le difficoltà del mercato del lavoro abbiano ridotto il numero dei dimissionari.
I motivi dell’aumento significativo in termini di dimissioni per i responsabili HR italiani sono riconducibili a un mix di fattori. Innanzitutto, dopo le difficoltà della pandemia, una nuova consapevolezza delle priorità e un ritrovato coraggio di cambiare lavoro per seguire aspirazioni e desideri da parte dei professionisti (30,3%) e, per il 29,8%, la ricerca di nuove opportunità di carriera e di un miglior bilanciamento tra vita privata e professionale, soprattutto da parte dei giovani.
Come rispondono concretamente le aziende? Leve di attraction e retention È ancora alta la percentuale di aziende (30,4%) che dichiara di non intraprendere azioni concrete per trattenere i talenti, anche se, la maggior parte (69,6%) dichiara, invece, di avere programmi ad hoc. Prima tra tutte le leve utilizzate dalle aziende con il 45,9%, è il pacchetto welfare aziendale: formazione continua e per tutti, lavoro agile, benefit e percorsi di crescita; seguono l’impegno per un modello organizzativo meno gerarchico e più partecipativo (37,6%), percorsi di carriera chiari e concreti (33,8%), percorsi di formazione professionale (33,1%), e, infine, attività di team finalizzate alla costruzione di un clima collaborativo e di fiducia (27,1%).
Tra le aziende che affermano di non avere all’attivo azioni per trattenere i talenti, il 73,4% sta lavorando affinché a breve vi siano soluzioni per tenere maggiormente ingaggiati i dipendenti. E mentre il 17,9% ne sottolinea il fattore economico, in questo momento non sostenibile dall’impresa, solo l’8,4% non ritiene necessario adoperarsi per i talenti già presenti in azienda. Quando, invece, l’obiettivo è attrarre nuovi talenti è l’offerta di un percorso di carriera concreto la leva più efficace (44,5%), seguita da flessibilità oraria e possibilità di lavorare in smart working (26,6%), formazione professionale gratuita, che va dalle lingue al tech (24,2%), infine pacchetti welfare per dipendenti e familiari (21%) e stipendi sopra la media e benefit in senso ampio, dal parcheggio ai buoni pasto (18%).
Ma la ricerca di nuovi talenti inasprisce la competizione tra aziende, infatti spesso è proprio tra i competitor che si ricercano nuovi possibili dipendenti. Secondo gli HR intervistati, per sottrarre talenti si utilizza in primis il fattore economico (60,2%), seguito dalla prospettiva di un migliore equilibrio vita privata-lavoro (17,2%), una reale possibilità di carriera (11,7%) e il caring dei dipendenti (10,9%).
Cosa pensano invece i lavoratori delle politiche della loro azienda? Si sentono motivati a restare o sono spinti al cambiamento? Dall’indagine InfoJobs emerge un generale malcontento, tanto che l’80,9% dei rispondenti non consiglierebbe a un amico/conoscente, che svolga un lavoro simile al proprio, l’azienda per la quale lavora a causa dell’ambiente di lavoro poco stimolante (52,1%) o di stipendio e benefit poco soddisfacenti (28,8%). Il 66,7% dei dipendenti coinvolti nell’indagine, infatti, non si sente valorizzato dall’azienda in cui lavora, contro un 27% che, seppur apprezzi i riconoscimenti dell’azienda, pensa che il datore di lavoro possa e debba fare di più per i propri dipendenti. La situazione difficile è dovuta principalmente dalla sensazione di non vedere un giusto percorso di crescita professionale.
Scenario alimentato, soprattutto, dalla decisione di assumere risorse esterne all’azienda anziché promuovere e valorizzare le potenzialità di quelle interne (37,6%). Il 27,5% evidenzia le possibilità di crescita non per tutti, quindi riservate esclusivamente a particolari figure professionali, ma uno speranzoso 12,5% prevede maggiore attenzione per questa tematica nel prossimo futuro. Di contro c’è chi percepisce l’impegno dell’azienda nel fornire possibilità di carriera e percorsi di formazione, ma ne lamenta la poca comunicazione interna (16,3%), solo il 6,1% riconosce all’azienda il suo impegno nel proprio percorso di crescita professionale interno in azienda. Se le aziende confermano che la leva economica è essenziale per acquisire talenti, i candidati dicono anche che è la leva principale per restare. Il 52,7% infatti conferma che la propria soddisfazione migliorerebbe a fronte di un salario più adeguato alle competenze e in crescita nel corso degli anni, parallelamente a un percorso di carriera ben sviluppato.
Smart-working e orario flessibile, ma anche una leadership che supporti e valorizzi le proprie risorse tanto da guadagnarsi il titolo di “leader gentile” sono fattori fortemente motivanti, sostenuti a parimerito dal 22,3% dei rispondenti. Viene naturale domandarsi, quindi, se ormai si sia perso il mito del posto fisso. L’ideale, per il 50,4%, è il compromesso fra un posto fisso che sia anche rispettoso del work-life balance. Per il 30,4% la sicurezza vince sempre e su tutto, perché la stabilità economica è fondamentale. Infine, il 19,3% imputa alla consapevolezza stessa di un equilibrio vita privata e lavoro il “non accontentarsi”. Come vedono il futuro aziende e talenti? Per le aziende, si dovrà fare i conti con dimissioni in caso di scarsa motivazione e poca considerazione dei dipendenti (38,3%) e modificare l’approccio culturale della propria azienda, ascoltando maggiormente (31,2%) e dialogando costantemente per trovare punti di incontro per tutte le parti (25%).
L’orizzonte temporale a 5 anni, infine, restituisce la fotografia di candidati che si vedono impegnati nella ricerca del nuovo, spinti dalla voglia di imparare e di crescere (41,7%), o nei panni di imprenditore o di chi ce l’ha fatta a raggiungere il proprio sogno professionale da dipendente (37,2%), o ancora in un’azienda più affine alle proprie caratteristiche, nonostante il lavoro attuale piaccia (13,2%), mentre solo il 7,9% si vede nella stessa azienda, di cui apprezza l’ambiente di lavoro e l’attenzione ai dipendenti, ma in una posizione di maggiore responsabilità.
Secondo Filippo Saini, head of job di InfoJobs "In un mercato fortemente competitivo e attraversato dal cambiamento, la capacità di essere attrattive per i nuovi potenziali collaboratori e per i dipendenti deve essere considerata dalle aziende tra le principali leve strategiche per la crescita. Gli investimenti sulle persone, pertanto, hanno assunto una rilevanza centrale. Non più, o non solo, una retribuzione soddisfacente, ma anche prospettive di crescita, formazione e visione strategica della dimensione futura, unite a un buon bilanciamento tra vita lavorativa e privata".
"Dal nostro punto di vista di realtà che unisce domanda e offerta, crediamo che l’attuale momento storico rappresenti una grande opportunità per la costruzione di modelli di collaborazione e ambienti di lavoro che rispondano efficacemente alla nuova sensibilità e alle sfide del futuro di tutte le parti sociali", conclude.