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I 'virus zombie' sono vivi dopo quasi 50mila anni: lo studio

I 'virus zombie' sono vivi dopo quasi 50mila anni: lo studio

(Adnkronos) - Le temperature più alte condizionano il permafrost, lo strato di suolo ghiacciato. Il parziale scioglimento del 'permagelo' può influire su virus dormienti da migliaia di anni. E' il quadro che delinea la Cnn, citando in particolare le parole di Kimberley Miner, scienziata del clima che lavora al Jet Propulsion Laboratory al California Institute of Technology della Nasa a Pasadena. "Ci sono diversi elementi preoccupanti in relazione al permafrost, questo mostra davvero perché è estremamente importante mantenere la maggior parte del permafrost il più possibile congelato", dice. Il permafrost copre un quinto dell'emisfero settentrionale. 

Lo scongelamento parziale dello strato comporta rischi, come ha evidenziato un altro studioso, Jean-Michel Claverie, professore emerito di medicina e genomica all'Università di Marsiglia. Lo scienziato ha esaminato campioni di permafrost prelevati in Siberia per andare alla ricerca di quelli che definisce 'virus zombie'. Lo scienziato studia particolari tipi di virus scoperti nel 2003, sono visibili attraverso un normale microscopio per le loro dimensioni. Nel 2014, il professore - si legge sulla Cnn - è riuscito a 'ridare vita' ad un virus isolato dal permafrost. Il virus, attraverso l'utilizzo di colture cellulari, ha ritrovato le caratteristiche infettive dopo 30.000 anni. Per sicurezza, l'esperimento ha riguardato un virus in grado di colpire solo organismi monocellulare, non animali o esseri umani. Nel 2015, l'equipe ha ripetuto lo studio su un virus in grado di colpire le amebe. Nell'ultima ricerca, pubblicata il 18 febbraio sulla rivista Virus, Claverie hanno isolato diversi ceppi di virus da più campioni di permafrost prelevati da sette luoghi diversi in tutta la Siberia e hanno dimostrando che ciascun ceppo poteva infettare cellule di ameba in coltura. Il virus più anziano risale a 48.500 anni fa. Il più giovane ne ha 'solo' 27.000. 

"Consideriamo questi virus che infettano l'ameba come surrogati di tutti gli altri possibili virus che potrebbero trovarsi nel permafrost", spiega Claverie alla Cnn. "Vediamo le tracce di molti, molti, molti altri virus. Sappiamo che sono lì. Non sappiamo per certo se siano ancora vivi. Ma il nostro ragionamento è che se i virus dell'ameba sono ancora vivi, non c'è motivo per cui gli altri virus non siano ancora vivi e in grado di infettare i propri ospiti". 

Tracce di virus e batteri che possono infettare l'uomo sono state già individuate nel permafrost. Nel frammento di polmone prelevato dal corpo di una donna, riesumato nel 1997 dal permafrost in un villaggio della penisola di Seward in Alaska, è stato individuato materiale genomico del ceppo influenzale responsabile della pandemia del 1918. Nel 2012, gli scienziati hanno confermato che i resti mummificati da 300 anni di una donna sepolta in Siberia contenevano tracce del virus che causa il vaiolo. 

Esistono rischi reali legati allo scioglimento del permafrost? Gli scienziati non sanno per quanto tempo gli eventuali virus 'congelati' potrebbero rimanere efficaci una volta esposti alle condizioni odierne. Né si può stabilire con certezza quanto sia probabile che il virus incontri un ospite adatto. Non tutti i virus sono agenti patogeni che possono causare malattie: alcuni sono benigni o addirittura benefici per i loro ospiti. Tuttavia, osserva Claverie, "il rischio è destinato ad aumentare nel contesto del riscaldamento globale in cui lo scongelamento del permafrost continuerà ad accelerare e più persone popoleranno l'Artico in conseguenza delle iniziative industriali".