Le restrizioni alla libera circolazione di merci e persone imposte dal Governo, per contrastare il diffondersi della Pandemia di Covid-19, non solo hanno già impedito a molti agenti di commercio di promuovere contratti per conto dei loro preponenti, ma rischiano (se non lo hanno già fatto) anche di mettere in pericolo l’esecuzione di quei contratti che gli stessi agenti avevano promosso prima che l’epidemia di Covid-19 arrivasse in Italia.
Con il presente elaborato si intende fornire una riflessione sul diritto dell’agente commerciale alla provvigione per gli affari conclusi dalla preponente, ma stornati a causa della Pandemia di Covid-19.
È noto che il diritto alla provvigione, salvo deroga espressa entro determinati limiti, sorge con la conclusione del contratto e matura dal momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione convenuta nel contratto, ma ci sono casi in cui, a determinate condizioni, l’agente ha comunque diritto a ricevere la provvigione anche sugli affari non eseguiti.
Il diritto dell’agente alla provvigione per gli affari rimasti ineseguiti è disciplinato dall’art. 1748 c.c., dalla Direttiva CEE n. 86/653 e dagli Accordi Economici Collettivi.
L’art. 1748 c.c., per quanto qui d’interesse, al V comma, prevede il diritto dell’agente di ricevere una provvigione ridotta nella misura determinata dagli usi, o, in mancanza, secondo equità, qualora il preponente e il terzo si accordino per non dare esecuzione, in tutto o in parte al contratto, e, al VI comma, che l’agente non è tenuto a restituire le provvigioni riscosse se il contratto tra preponente e terzo è rimasto ineseguito, salvo che tanto sia dipeso da cause non imputabili al preponente.
L’Accordo Economico Collettivo del 20 giugno 1956 per il settore industriale e gli enti cooperativi (avente efficacia erga omnes) dispone che se il contratto viene stornato l’agente ha diritto al 50 per cento delle provvigioni che gli sarebbero spettate nel caso di esecuzione del contratto stesso, salvo patto in contrario che, in ogni caso, non potrà ridurre detta misura ad un limite inferiore al 30 per cento delle provvigioni stesse e salvo che lo storno sia determinato da forza maggiore e altri gravi cause non imputabili al preponente.
La Direttiva CEE n. 86/653 e gli altri Accordi Economici Collettivi, infine, ribadiscono il principio secondo cui l’agente ha diritto alla provvigione anche per gli affari che non hanno avuto esecuzione per causa imputabile al preponente.
Quindi, qualora un affare promosso da un agente ed accettato dal preponente rimanga in tutto o in parte ineseguito, il diritto dell’agente alla provvigione rimane impregiudicato se e nella misura in cui la mancata esecuzione del contratto dipende da una causa imputabile al preponente; laddove, se il preponente ed il terzo si sono accordati per non eseguire il contratto il medesimo diritto matura, ma bensì in misura ridotta.
Nella prima ipotesi è determinante la nozione di “causa imputabile al preponente”, il cui significato non è definito in alcuno strumento legislativo e che la giurisprudenza non circoscrive alle sole cause giuridiche che hanno determinato l’estinzione del contratto, ma estende a tutte le circostanze di fatto e di diritto, riconducibili alla sfera giuridica del preponente, all’origine della mancata esecuzione del contratto.
Traslando questi concetti sul piano dell’onere della prova in un eventuale giudizio, l’agente che agisca per la condanna del preponente al pagamento di provvigioni su affari conclusi ma rimasti ineseguiti (o che nel medesimo caso sia convenuto per la restituzione delle provvigioni riscosse) ha, ai sensi dell’art. 2697 c.c., l’onere di provare l’elemento costitutivo del proprio diritto e, quindi, la riconducibilità a titolo di colpa (o dolo) al preponente della mancata esecuzione del contratto.
Le circostanze di fatto che caso per caso hanno portato alla mancata esecuzione del contratto divengono dunque determinanti per valutare il diritto dell’agente alle provvigioni e se la condotta del preponente sia stata coerente con gli obblighi, anche di cooperazione e buona fede, costituti a suo carico.
Nella seconda ipotesi (affari rimasti ineseguiti per accordo tra le parti) l’agente ha diritto a ricevere una provvigione ridotta sulla parte rimasta ineseguita, da calcolarsi secondo gli usi o secondo equità dal giudice, ai sensi del V comma dell’art. 1748 c.c.
In proposito, l’art. 1748 c.c. non rimanda più alle norme corporative per il calcolo della provvigione ridotta (come era prima della riforma del 1999) e, quindi, il riferimento agli “usi” non può essere esteso a tal punto da includere anche le disposizioni contenute negli Accordi Economici Collettivi di volta in volta applicabili. La liquidazione della provvigione deve, quindi, avvenire secondo gli usi di volta in volta vigenti nelle categorie di riferimento e, in mancanza, con valutazione equitativa ad opera del giudice adito.
Per quanto riguarda, infine, il diritto alla provvigione di cui all’ Accordo Economico Collettivo del 20 giugno 1956 menzionato in precedenza, all’art. 5 è previsto in caso di storno un diritto dell’agente al 50%[1] delle provvigioni che gli sarebbero spettate in caso di esecuzione del contratto, a titolo di rimborso spese, se lo storno non è determinato da forza maggiore o da altre cause non imputabili al preponente.
Premesse le medesime considerazioni avanzate in precedenza sulla imputabilità al preponente e la rilevanza dell’elemento soggettivo in relazione alla mancata esecuzione del contratto, è opportuno sottolineare che la Forza Maggiore non ha una definizione legislativa, ma viene descritta dalla giurisprudenza come quell’evento imprevedibile e straordinario che esula dalla sfera di controllo del debitore (preponente) e che si inserisce tra la condotta del debitore medesimo e l’evento, in modo tale da escluderne il rapporto causale. In altre parole, per forza maggiore si intende quel fatto, straordinario, imprevedibile ed incontrollabile, che sia da solo sufficiente a causare un evento; nel caso in analisi, la mancata esecuzione del contratto.
Il diritto al rimborso spese pari al 50% della provvigione per i contratti stornati è considerato un rimedio residuale, applicabile solo quando lo storno non dipenda da forza maggiore o altra causa imputabile al preponente e quando non si versi nell’ipotesi previste dall’art. 1748 c.c. V e VI comma. La disciplina dell’art. 5 dell’Accordo Economico Collettivo del 20 giugno 1956 prevede un regime dell’onere probatorio diverso da quello relativo alle fattispecie di cui all’art. 1748 c.c., in base al quale spetta al preponente fornire la prova della ricorrenza di situazioni di esonero del debito quali forza maggiore o atre cause a lui non imputabili.
Tale essendo il quadro normativo, in caso di affari stornati (vale a dire, rimasti semplicemente ineseguiti o consensualmente risolti) a causa della Pandemia la valutazione in merito al diritto dell’agente alle provvigioni varia a seconda delle caratteristiche del caso concreto e, in particolare, dell’incidenza che l’emergenza sanitaria e/o le restrizioni imposte dal Governo hanno avuto sull’organizzazione imprenditoriale del preponente e sull’obbiettiva possibilità di adempimento alle prestazioni contrattuali.
Non è possibile definire aprioristicamente in quali casi la mancata esecuzione del contratto o il suo storno potranno essere imputati al preponente. E’ un dato però che il preponente non è senz’altro esonerato dall’obbligo di pagare la provvigione (in misura piena o ridotta) per il solo fatto in sé della mancata esecuzione del contratto nel contesto emergenziale in atto; ed è, invece, necessario indagare sull’influenza che le misure restrittive imposte dal Governo o, più in generale, il diffondersi della Pandemia di Covid-19, abbiano avuto sulle prestazioni cui il preponente era tenuto nei confronti del terzo, se, cioè, esse siano state da sole sufficienti a determinare la mancata esecuzione del contratto.
In conclusione, applicando questi concetti alle ipotesi di contrati stornati o rimasti ineseguiti a causa della Pandemia di Covid-19, se ne desume l’esigenza di ricostruire caso per caso, anche a mezzo di presunzioni, le circostanze all’origine dello storno o della mancata esecuzione del contratto per appurare se ed in che misura esse dipendano da scelte discrezionali del preponente, da sue valutazioni unilaterali di convenienza, da sue negligenze o, invece, dall’esigenza di rispettare le misure restrittive imposte dal Governo o dall’impossibilità di eseguire le prestazioni contrattuali a causa di impedimenti imprevisti e insormontabili.
Luca Tabellini (Studio Tabellini) - Carlo Tabellini (IUCAB LWG)