Quer pasticciaccio brutto de l’Enasarco.. Chissà quanto si sarebbe divertito, Gadda, a raccontare le vicende del voto per il rinnovo dei vertici dell’ente di previdenza degli agenti di commercio. Una vicenda non ancora terminata ma che già evidenzia tutti i problemi della democrazia in salsa italiana. Proviamo a riassumere il pasticciaccio.
Il voto degli agenti ha portato ad una situazione di finta parità, più che di parità effettiva. Con 3mila voti in più (mica pochi) per la coalizione che faceva capo a Solo Agenti in Enasarco. Lo scontro principale era tra Solo Agenti, lista che da sola ha conquistato il 36%, e Fare presto che ha ottenuto oltre il 40% ma raggruppando tre liste. Comunque, i due raggruppamenti ottengono lo stesso numero di delegati tra gli agenti (che esprimono 40 dei 60 delegati complessivi) ma lo statuto interno prevede che in caso di parità valga il voto del consigliere più anziano per la designazione del cda. E il più anziano fa parte della coalizione di Solo Agenti (che raggruppa anche Ugl, Cisl, Cgil).
Situazione analoga per le mandanti, con 10 delegati per gli alleati di Fare presto ed altrettanti per chi si è schierato con Solo Agenti (Confapi, Confindustria, Confcooperative e Confcommercio). Anche in questo caso vale il consigliere più anziano, ed è di nuovo nello schieramento contrario a Fare presto.
Si va al voto e la situazione si ingarbuglia. Voto in videoconferenza, visti i Dpcm. Un delegato risulta collegato ma, al momento dell’appello, non vota. Si prova a contattarlo telefonicamente e non risponde, si fa slittare il suo voto al termine della seduta, si aspetta altro tempo. Niente da fare. A quel punto la votazione è dichiarata chiusa, si conteggiano le preferenze e manca, appunto, il voto che sancirebbe la parità tra gli schieramenti. Dunque Fare presto ed alleati hanno perso.
Ma il delegato riluttante ricompare all’improvviso e chiede di votare anche se l’elezione è conclusa. È come se gli elettori alle politiche si recassero al seggio il giorno dopo pretendendo di votare comunque dopo aver conosciuto i risultati.
Ovviamente si sprecano le voci, le supposizioni. Si parla di uno sgarbo del gruppo Fare presto nei confronti della lista alleata che ha espresso il delegato riluttante. Una vendetta, insomma.
Il presidente, come certificato dal notaio che ha seguito la votazione, rinvia la decisione alla Commissione elettorale per stabilire se un voto tardivo, espresso in voce e non in video, sia da considerare valido. E la Commissione decide che il voto non è valido.
Tutto finito? Macché. La palla passa al ministero. Che non c’entra nulla, ma che viene chiamato in causa dagli sconfitti. Vogliono che sia il ministro a decidere per un ente privato che ha un suo statuto, un suo regolamento. A posteriori si vuole un cambio delle regole precedenti. In particolare si vorrebbe non solo che venisse riconosciuto valido un voto espresso prima o poi, meglio se poi così si può trattare meglio, ma anche che venisse eliminata la regola del consigliere più anziano.
Fonte ElecToMagazine - Enrico Toselli