(Adnkronos) - Stretta tra il ritorno dell’imperialismo russo e il revival dell’isolazionismo americano, con le presidenziali Usa di novembre che incombono, l’Ue capisce sempre più di essere vulnerabile e, lentamente, avvia un percorso per arrivare a difendersi meglio, o perlomeno per ridurre la dipendenza da terzi nel campo della sicurezza. Il Consiglio Europeo concluso ieri, dipinto alla vigilia come un 'summit di guerra', ha partorito risultati poco altisonanti, ma a Bruxelles c’è chi vede il bicchiere mezzo pieno. Alla fine, i leader sono riusciti a "non scannarsi" sul Medio Oriente, osserva una fonte, che è già un buon risultato, visti i precedenti.
Sull'uso degli asset russi congelati la formula concordata nelle conclusioni non chiude la porta all’uso degli extraprofitti per aiuti militari all’Ucraina, anzi cita esplicitamente questa possibilità.
Anche l’Ungheria, da sempre contraria agli aiuti militari a Kiev, porrebbe problemi solo per la piccola parte dei 3 miliardi di euro annui che passerebbe attraverso il bilancio Ue, non per la gran parte che verrebbe canalizzata tramite la European Peace Facility, il veicolo fuori dal bilancio Ue usato finora per inviare armi all’Ucraina (malgrado il nome, che contiene la parola “pace”, cosa che provoca talora l’ilarità degli alleati americani). Per il cancelliere tedesco Olaf Scholz, “usare i profitti straordinari” derivanti dal congelamento degli asset della Banca Centrale Russa, circa 3 miliardi di euro l’anno, per “armi e munizioni” da inviare all’Ucraina sarebbe “un grande passo avanti”.
Del resto, ha aggiunto, si tratta di “profitti inattesi” che finora sono stati incamerati dalle società di clearing, e che lo Stato belga, dove ha sede Euroclear, tassava, “quindi l’Ue li può usare” per fornire armi a Kiev, con un certo grado di sicurezza. Di fatto, i soggetti davvero sanzionati sono le società di clearing, che finora hanno tratto utili dalla permanenza inattesa nei loro bilanci di liquidità che, in assenza delle sanzioni, sarebbe stata immediatamente trasferita al legittimo proprietario, la Banca Centrale Russa, la quale si è vista congelare 210 miliardi di euro di beni detenuti nell’Ue. Tre miliardi di euro l’anno, ha notato Scholz, sono una cifra non trascurabile, che aumenterà in modo percepibile l’assistenza militare all’Ucraina.
La prudenza dei mesi scorsi, condivisa da diversi Paesi, ha spiegato il cancelliere, era motivata dal fatto che una mossa simile deve avere una “base giuridica” robusta. Scholz ha anche spiegato che l’intenzione è di usare questi fondi “direttamente”, senza passare attraverso “veicoli speciali” per emettere bond.
I leader Ue restano divisi su come finanziare i maggiori sforzi nell’Europa della difesa, ma nessuno, a Bruxelles, si aspettava che la Germania aprisse improvvisamente agli Eurobond. Per Berlino, anche con un governo più spostato a sinistra, il debito in comune è come un “drappo rosso” sventolato davanti a un toro, per dirla con una fonte diplomatica. Scholz ha ribadito la contrarietà di Berlino agli Eurobond, proposti peraltro dalla premier estone Kaja Kallas per aiutare l’Ucraina con uno strumento da 100 miliardi di euro: “Non siamo dei fan di questa proposta”, ha detto.
Opposta la visione del presidente francese Emmanuel Macron: emettere Eurobond per la difesa comune europea, ha affermato, “penso che sia una buona cosa”. Il presidente francese si è comunque mostrato ottimista: “Penso che nelle prossime settimane convergeremo - ha detto - bisogna definire degli strumenti innovativi per poter raccogliere fondi sui mercati per finanziare degli sforzi militari in maniera più massiccia" di quanto non sia possibile fare a livello individuale, come Paesi singoli. "Possono essere degli Eurobond - aggiunge - ma questo termine crea difficoltà in alcuni Paesi, o strumenti come quelli usati al tempo del Covid, basati su garanzie versati dagli Stati”. Si ragiona anche su dei ‘project bond’, emissioni obbligazionarie legati a specifici progetti comuni nella difesa che potrebbero essere intrapresi da più Stati membri. “La finalità è condivisa. Bisognerà lavorare” sulle modalità di finanziamento, “più cercando le convergenze che spiegando le differenze. La convergenza c'è, c'è la presa di coscienza: ci arriveremo. Serve una capacità comune per raccogliere fondi sui mercati”.
Per il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez la sicurezza “è un bene pubblico europeo” e, dunque, bisogna finanziarla “in comune”, ma “se andiamo verso una maggiore industria europea della difesa e della sicurezza, allora in futuro dovremo valutare l’emissione di debito comune, per finanziare un bene comune europeo”. Anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha detto che emettere Eurobond per la difesa comune è “una buona idea”. Le discussioni sul punto sono destinate a proseguire. La formula usata nelle conclusioni non chiude la porta a evoluzioni future: il Consiglio Europeo, si legge, “invita il Consiglio e la Commissione ad esplorare tutte le opzioni per mobilitare fondi e riferire entro giugno”. Non è un’apertura, ma neanche una chiusura.
I leader hanno anche provveduto ad abbassare i toni ‘bellici’, particolarmente marcati nelle ultime settimane. In particolare, il passaggio in cui il Consiglio Europeo “sottolinea la necessità imperativa di una aumentata preparazione militare e civile e della gestione strategica delle crisi nel contesto delle minacce in evoluzione”, non è stato rimosso dalle conclusioni, ma spostato molto più in basso, al punto 43, a debita distanza dal capitolo sulla difesa. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha specificato che il riferimento non era alla guerra, bensì a “tutte le crisi”, per cui serve un “maggiore coordinamento. C’è un riferimento al militare”, precisa, perché la funzione della Protezione civile in alcuni Paesi fa capo all’esercito. “Secondo me è stato male interpretato perché stava nel capitolo sulla sicurezza: non a caso è stato spostato”, ha spiegato. L’Alto Rappresentante Josep Borrell ha avuto cura di dichiarare che “la guerra non è imminente” e che “non bisogna spaventare la gente inutilmente”.
Anche per Meloni “è ovvio, siamo in un conflitto”, quindi “bisogna tenere monitorati gli scenari”, ma, ha detto, “non ho visto in questo Consiglio Europeo un clima” da “mettiamoci l’elmetto in testa e andiamo a combattere”. Sanchez, con una chiara allusione alle parole usate dal presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, ha aggiunto che “non si può parlare allegramente di terza guerra mondiale e mandare messaggi che preoccupano i cittadini. E’ evidente che i cittadini vogliono che continuiamo ad appoggiare l’Ucraina, ma dobbiamo utilizzare un altro linguaggio e non contribuire all’escalation bellica. Non mi sento rappresentato quando si dice che dobbiamo trasformare l’Europa in una economia di guerra, né da espressioni che parlano di terza guerra mondiale. L’escalation verbale" non è gradita né "alla Spagna né al governo ed è un concetto che ho trasmesso all’insieme degli Stati membri”. Lo stesso Michel, dopo aver scritto che l’Ue deve passare ad uno stato di “economia di guerra”, ha detto di non voler “spargere ansia tra i cittadini, ma se vogliamo la pace è importante migliorare le nostre capacità di difesa”.
Nelle conclusioni in materia di sicurezza e difesa, i leader dichiarano di voler “aumentare in modo sostanziale la spesa" militare, "investire e più rapidamente insieme”. Per questo, si dichiara di voler aumentare l’accesso dell’industria della difesa “a finanziamenti pubblici e privati”, incaricando la Commissione di presentare opzioni entro giugno e invitando la Banca Europea per gli Investimenti ad “adattare” la sua politica creditizia. I leader puntano a incentivare lo “sviluppo e l’acquisto comune” per rimediare alle “lacune fondamentali” dell’Ue, in particolare per quanto riguarda gli “abilitatori strategici” e a sfruttare “appieno” le “sinergie” tra i processi di pianificazione nella difesa “europei e nazionali”. Si incentiveranno gli investimenti congiunti anche nella ricerca e sviluppo, si spingono i contratti pluriennali per “migliorare la prevedibilità” per le aziende. Si prevede di “incentivare un’ulteriore integrazione dei mercati europei della difesa”, frammentati per linee nazionali; si punta ad assicurare una “rapida risposta” alle “strozzature” nelle supply chain; si sostengono iniziative per formare lavoratori qualificati. Tutte cose che, se produrranno risultati, lo faranno nel lungo periodo, ma è comunque un programma.
Il presidente francese Emmanuel Macron vede nelle conclusioni in materia di sicurezza e difesa l’attuazione pratica dell’agenda di Versailles, decisa nel 2022: “Oggi gli europei - ha detto - stanno attuando pienamente quei testi fondamentali e stanno accelerando, per ridurre la loro dipendenza e aumentare la loro capacità, innanzitutto affermando molto chiaramente il principio che noi europei dobbiamo produrre di più e costruire un’industria della difesa, che ci permetta di rifornirci. E' una piccola rivoluzione copernicana, poiché negli ultimi decenni abbiamo avuto il concetto implicito che gli europei non investivano abbastanza, ma continuavano a comprare dall’esterno". Ora "ci siamo dotati di strumenti ambiziosi e innovativi per sviluppare la base industriale e tecnologica della difesa europea”. Il primo ministro portoghese Antonio Costa, al suo ultimo Consiglio Europeo, ha detto che, affinché l’aumento della capacità produttiva nella difesa venga “accettato socialmente”, deve portare ad un “aumento degli investimenti e dei posti di lavoro”.
Un risultato oggettivo del vertice è l’avvio dei negoziati di adesione all’Ue per la Bosnia-Erzegovina, sia pure con un caveat: il Consiglio Europeo “invita la Commissione a preparare il quadro negoziale, nell’ottica della sua adozione da parte del Consiglio nel momento in cui tutti i passi rilevanti delineati nella raccomandazione del 12 ottobre 2023 saranno stati compiuti”. La presidente Ursula von der Leyen ha definito “impressionanti” i progressi fatti da Sarajevo in un anno, da quando le è stato accordato lo status di candidato all’adesione all’Ue, cosa che prova il potere trasformativo della prospettiva di aderire all’Unione per un Paese che ne è fuori.
Sulla guerra in Ucraina, i leader scrivono che “la Russia non deve prevalere”, che è un’ammissione implicita che la possibilità esiste. E dunque, “vista l’urgenza della situazione, l’Ue è determinata a continuare a fornire all’Ucraina (…) tutto il necessario supporto politico, finanziario, economico, umanitario, militare e diplomatico, per tutto il tempo necessario e con l’intensità necessaria”. Si promette di “accelerare e intensificare” la consegna degli “aiuti militari” e si “accoglie con favore” l’iniziativa della Repubblica Ceca, che sta acquistando 800mila proiettili d’artiglieria da Paesi terzi, consentendo all’Ue di “onorare l’impegno di fornire all’Ucraina un milione di munizioni pesanti”.
Come è stato notato, la piccola Repubblica Ceca ha fatto di più da sola dell’Unione a 27, ma, come ha detto la presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola, l’Ue è nata come un “antidoto alla guerra”, un progetto di pace. La guerra scatenata dalla Russia in Ucraina “ha cambiato tutto”, ma i cambiamenti necessari non si fanno dalla sera alla mattina. Intanto, si accolgono con favore gli “accordi bilaterali sugli impegni per la sicurezza conclusi dall’Ucraina con diversi Stati membri”, come era stato promesso al vertice Nato di Vilnius, in Lituania. Creando un Fondo per l’assistenza all’Ucraina all’interno dell’Epf, si è assicurata continuità agli aiuti militari a Kiev, cosa che i leader sottolineano nelle conclusioni. Si auspicano anche ulteriori misure volte a contenere gli aggiramenti delle sanzioni imposte alla Russia e si esprime “estrema preoccupazione” per le forniture di droni a Mosca da parte dell’Iran. Si assicura, infine, sostegno alla Moldova e alla Georgia.
Sul Medio Oriente, i leader chiedono una “immediata pausa umanitaria che porti a un cessate il fuoco sostenibile, il rilascio incondizionato di tutti gli ostaggi e la fornitura di assistenza umanitaria”. Dopo aver reiterato la condanna nei confronti di Hamas per gli “attacchi terroristici” del 7 ottobre, il Consiglio esprime “profonda preoccupazione” per la “catastrofica situazione umanitaria” nella Striscia di Gaza, sottolineando “l’imminente rischio di carestia provocata dall’ingresso insufficiente di aiuti a Gaza”. Per evitarla, “servono ulteriori accessi e vie di terra”. Vanno evitati “ulteriori spostamenti di popolazione” e si esorta il governo israeliano a non lanciare una offensiva di terra a Rafah, che “peggiorerebbe la già catastrofica situazione umanitaria” e impedirebbe la consegna di aiuti. Oltre “un milione” di civili palestinesi si è rifugiato in quell’area, rimarcano.
I capi di Stato e di governo stigmatizzano con forza le “violenze sessuali” avvenute durante “l’attacco del 7 ottobre” e sostengono le indagini “indipendenti” su tutte “le accuse di violenza sessuale”, prendendo “atto”anche dei rapporti della relatrice speciale per le Nazioni Unite Reem Alsalem, giordana. Sul ruolo dell’Unrwa, si sottolinea il lavoro “essenziale” che svolge e si accoglie “con favore” l’avvio dell’indagine interna e dell’audit esterno lanciati in seguito alle accuse formulate da Israele, secondo cui 12 dipendenti dell’agenzia avrebbero preso parte ai pogrom del 7 ottobre. Invocano anche, d’altra parte, “l’immediato arresto della violenza” in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, nonché l’accesso “sicuro” ai luoghi santi. Infine, si ribadisce che l’Ue è impegnata per una “pace sostenibile e duratura, basata sulla soluzione a due Stati”.
Per il premier spagnolo Pedro Sanchez, sulle posizioni più filopalestinesi nello spettro Ue, si è detto soddisfatto, osservando che le conclusioni riflettono “se non al 100%, in una buona percentuale” le idee della Spagna. L’uomo politico ha ribadito che Madrid e altri tre Paesi Ue (Malta, Belgio e Irlanda) intendono procedere “insieme” al riconoscimento formale dello Stato di Palestina e che sceglieranno insieme il momento migliore per farlo. I leader hanno anche preso atto del lavoro in corso sulle migrazioni e hanno appoggiato esplicitamente l’accordo di partnership strategica siglato al Cairo da von der Leyen, Meloni e altri capi di Stato e di governo dell’Ue.
Infine gli agricoltori, che hanno ottenuto grande attenzione ai vertici Ue mobilitando i trattori in mezza Europa. Il Consiglio Europeo, nelle conclusioni, invita la Commissione e il Consiglio a portare avanti i lavori “senza indugio”, su “tutte le possibili misure e soluzioni innovative a breve e medio termine, volte a ridurre gli oneri amministrativi e a realizzare la semplificazione”; per “rafforzare la posizione degli agricoltori nella filiera alimentare”, garantendo “un reddito equo”; “alleggerire la pressione finanziaria sugli agricoltori”, ad esempio estendendo “il quadro temporaneo sugli aiuti di Stato”, cosa che Meloni ha sottolineato con favore. Si punta a “garantire una concorrenza leale” e ad “affrontare le questioni relative alle misure commerciali autonome per l'Ucraina”.
La Commissione ha già provveduto a proporre delle salvaguardie su alcuni prodotti agricoli importati dall’Ucraina, cui sono stati rimossi i dazi, per consentire a Kiev di avere dei ricavi da usare per difendersi dalla Russia. Francia e Polonia hanno bloccato l’accordo in Coreper, chiedendo che le salvaguardie riguardino anche il grano; se ne dovrebbe riparlare in Coreper la settimana prossima. Per Macron, si tratta di trovare un “equilibrio”, per evitare “abusi”, visto che le quantità di merci importate dall’Ucraina si sono “moltiplicate”, in alcuni casi, per “dieci” e più. Nel frattempo, la Commissione ha annunciato che proporrà l’introduzione di dazi su cereali e semi oleosi importati nell’Ue da Russia e Bielorussia, ma senza ostacolare il transito degli stessi verso Paesi terzi. Per Ursula von der Leyen, è una "smart move", una mossa intelligente.