(Adnkronos) - E' un padre che chiede "verità e giustizia" Salvatore, il papà dell'ambasciatore Luca Attanasio, barbaramente ucciso nella Repubblica democratica del Congo, nei pressi di Goma, il 22 febbraio dello scorso anno. Una data, un giorno infernale "in cui la nostra vita si è interrotta", ammette l'uomo con la voce rotta dalla commozione. Oggi, a distanza di un anno e una manciata di mesi, a fare andare avanti la vita di questa famiglia è solo la forza per le tre nipoti, rimaste senza padre. La più grande, 5 anni e mezzo, ancora chiede dove sia finito il suo papà, "e ogni volta è una ferita che si riapre", ammette Salvatore. Le due gemelle compiranno 4 anni a fine maggio, il secondo compleanno senza il loro papà a spegnere le candeline sulla torta.
Mentre l'Adnkronos lo raggiunge al telefono, nonno Salvatore è al parco con le tre piccole. Le spinge sull'altalena, ma si allontana quando le parole si fanno troppo pesanti, quando le bambine potrebbero capire che, dietro gli occhi che si riempiono di lacrime, c'è il racconto del loro papà. "Come si fa a spiegare loro quel che è successo? La verità va trovata anche e soprattutto per queste tre creature - dice -. Quando saranno grandi si renderanno conto del padre che hanno avuto e ne saranno orgogliose, ne sono convinto. Luca è stato un figlio e un padre straordinario, credeva in un mondo migliore e lavorava ogni giorno per cambiarlo in meglio, non a caso lo slogan dell'associazione che ha fondato, 'Mamma Sofia', è: 'ridisegnamo il mondo'. Lui ci credeva fermamente, era un sognatore che guardava oltre il suo naso. Aveva tanti sogni, la sua forza era credere nei sogni che aveva e tentare di realizzarli".
Sogni che si sono spenti, all'improvviso, su una strada polverosa e sterrata tra Goma e Rutshuru. L'inchiesta e la cronaca narrano di un sequestro finito male, con tre vittime barbaramente uccise: oltre ad Attanasio -giovane ambasciatore di appena 43 anni- il carabiniere Vittorio Iacovacci e l'autista del World Food Programme (Wfp) Mustapha Milambo. "Sin da subito abbiamo capito che la storia del rapimento finito male era una messinscena. A nostro avviso, certamente di sequestro non si tratta, altrimenti non sarebbe finito in quel modo".
"Nessun rapitore uccide un ostaggio senza nemmeno aver tentato di ottenere qualcosa in cambio, ci sono troppe, troppe incongruenze. A 100 metri dal luogo dove sono stati uccisi il nostro Luca, Iacovacci e Milambo c'è un check point che quel giorno guarda caso era vuoto. Su 7 rapiti sono stati uccisi", oltre all'autista del Wfp, "solo i nostri due connazionali, gli altri non hanno riportato nemmeno un graffio, com'è possibile?", chiede oggi Salvatore.
Negli ultimi giorni sulla stampa si è scritto di un complotto -dietro l'agguato- delle alte sfere delle Forze Armate della Repubblica democratica del Congo (Fardc) che coinvolgerebbe membri dell'intelligence, poliziotti e civili. Una ricostruzione sicuramente distante "da quella del rapimento finito male alla quale non abbiamo mai creduto, nemmeno per un istante - ribadisce con forza il papà di Luca -. Ora sta ai nostri inquirenti accertare la verità, se la stampa ne ha scritto sicuramente avrà raccolto delle testimonianze prima di farlo. Noi non possiamo dire nulla rispetto a quel che sta emergendo, ma possiamo pretendere la verità e batterci fino alla fine per questo. Senza verità non c'è giustizia, pretendiamo che le nostre autorità completino il loro lavoro. Pretendiamo un sussulto di orgoglio da parte del nostro Paese, un Paese che Luca ha servito e onorato in tutte le sedi in cui ha operato".
E che oggi vede gli inquirenti fermi, l'inchiesta arenata, i legali del World Food Programme pronti ad appellarsi all'immunità per i suoi diplomatici coinvolti. Con l'arrivo di Alberto Petrangeli a Kinshasa, il nuovo ambasciatore della Repubblica democratica del Congo, "speriamo che le indagini su Luca trovino nuovo impulso -l'auspicio di Salvatore-. I nostri carabinieri dei Ros attendono dal settembre dello scorso anno di completare le indagini, ma sono fermi perché non hanno sufficiente protezione o mancano i permessi che consentano di operare in maniera serena in un territorio altamente pericoloso. E così le indagini sono arenate e la storia di quanto realmente accaduto a Luca tutta ancora da scrivere".
Salvatore Attanasio sa bene che farà l'impossibile per rompere il silenzio, per far sì che la verità venga a galla e la giustizia si compia. Dietro la morte di Luca deve esserci un perché, una verità. Nessuno deve restare impunito, il cono d'ombra che pericolosamente sembra proiettarsi sulla vicenda di suo figlio va spazzato via. Glielo ricordano quelle tre nipoti che spinge sull'altalena, glielo ricorda il suo cuore in tormenta da quando quello di suo figlio ha cessato di battere.
"Noi viviamo per la verità, senza verità non avremmo giustizia - dice il papà di Luca, verità e giustizia sono due concetti che ripete con forza, che tornano sempre -. Siamo pronti a batterci fino all'ultimo dei nostri giorni per arrivare alla verità su quel maledetto 22 febbraio, il giorno in cui il nostro Luca perse la vita. Ci auguriamo che le nostre autorità, soprattutto che lo Stato italiano abbia un sussulto di orgoglio e con la schiena dritta si batta per questo, da un lato con il governo congolese, dall'altra con il World Food Programme, che vuole appellarsi a una sorta di immunità per le persone dell'organizzazione indagate, il che sarebbe a dir poco immorale per un organismo che si definisce umanitario".
"Sappiamo che la Farnesina è al nostro fianco -va avanti Salvatore- : il ministero degli Esteri sta facendo di tutto e di più per riuscire ad andare avanti con le indagini sulla morte del nostro Luca. Se questo non bastasse, noi invochiamo l'autorità massima di governo, ci rivolgiamo a Mario Draghi. Se ci sono da scomodare Draghi o Mattarella noi lo faremo, non ci tiriamo indietro nel chiedere verità e giustizia".
Il Capo dello Stato, ricorda, "lo abbiamo incontrato in occasione della consegna dell’onorificenza di Gran Croce d’Onore dell’Ordine della Stella d’Italia alla memoria di Luca: in quell'occasione Mattarella aveva speso parole di elogio nei confronti di mio figlio, un esempio di come deve essere la diplomazia in Italia e nel mondo. E Luca è certamente un esempio, ma un esempio che oggi chiede verità e giustizia".
E che vede, denuncia l'uomo, l'assenza dell'Europa. "Un'Europa muta e totalmente assente - punta il dito Attanasio - Stiamo parlando dell'assassinio di due servitori dello Stato, uno Stato fondatore d'Europa e di cui però l'Europa si dimentica in circostanze del genere. Questo è per noi un fatto gravissimo. Ci sono state delle interpellanze di europarlamenti sulla vicenda di Luca, interpellanze inviate al Parlamento europeo che non hanno sortito effetto, non hanno avuto risposte".
Chi invece non ha dimenticato il giovane ambasciatore, "un sognatore che guardava oltre il suo naso", sembra essere Papa Francesco, che a luglio volerà in Congo e si recherà in preghiera a Goma, nelle vicinanze del luogo in cui Luca perse la vita. "Sì, lo sentiamo e lo abbiamo anche incontrato - racconta Salvatore - Ci auguriamo che la sua presenza in Congo possa portare a un piccolo passo avanti, che accenda un po' di luce per evitare che la vicenda di nostro figlio cada nell'oblio". C'è grande dignità nel dolore di Salvatore Attanasio, lo si comprende ascoltandolo, lo si capisce chiaramente quando parla del suo Luca e dell'orgoglio di avere tirato su un figlio così. Ma c'è anche la forza e la determinazione di un padre e di un nonno pronto a tutto per avere quel che è giusto abbia: verità e giustizia. Per Luca e per la sua famiglia. (di Ileana Sciarra)