Nel 2020 nell’impiego domestico sono stati coinvolti 921.000 lavoratori, in gran parte si tratta di donne (88%). Rispetto al 2019 si osserva una forte crescita (+7,5%, pari a circa 65.000 lavoratori) ascrivibile all’effetto (involontario) della pandemia che ha incentivato una sorta di regolarizzazione per giustificare gli spostamenti nella fase più severa del lockdown. E' quanto emerge dal Rapporto annuale Inps.
Non a caso, sottolinea l Rapporto, si registra una crescita importante di italiani (+30.000), nonché una particolare accentuazione per le classi di età più giovani (con tassi di crescita superiori al 20%: prevalentemente colf anziché badanti) oltre che per gli over 65. Sarà da osservare, in futuro, quanto questa “regolarizzazione” sia stata temporanea o duratura.
Non risulta, invece, aver avuto ancora l’impatto atteso, sulla consistenza del lavoro domestico regolare, il provvedimento di regolarizzazione concluso il 15 agosto 2020 con 177.000 domande relative al lavoro domestico (122.000 collaboratori familiari generici e 55.000 assistenti a non autosufficienti): i tempi delle procedure necessarie all’effettiva implementazione del dettato normativo hanno comportato che le sue effettive ricadute statistiche saranno apprezzabili solo con i dati relativi al 2021. Le donne costituiscono il 90% o più del totale dei lavoratori domestici con riferimento a tutte le nazionalità interessate: fanno eccezione solo Marocco, Filippine e Sri Lanka, paesi con una componente maschile consistente anche se mai maggioritaria. Pur diversificata, la crescita del 2020 ha riguardato quasi tutte le provenienze.
È stata particolarmente pronunciata per le donne georgiane, albanesi, peruviane, ucraine: per ognuna di queste nazionalità vi è stata una crescita di 4-5.000 unità. Il movimento inverso, di flessione, ha interessato solo rumene (che si conferma comunque come il gruppo più numeroso) e polacche, proseguendo in tal caso un trend già ripetutamente segnalato nell’ultimo quinquennio e che forse sottintende sia la riduzione dell’attrattiva esercitata da questo tipo di occupazione per paesi, come Polonia e Romania, le cui condizioni economiche nell’ultimo ventennio sono comunque sensibilmente migliorate, sia la minor stringente necessità di regolarizzazione, non avendo - rispetto agli extracomunitari – problemi di ingresso/uscita dall’Italia (questioni pandemiche a parte).
L’incremento notevolissimo dei lavoratori domestici, con una quota significativa di nuovi entranti, si riflette nella distribuzione per classe di settimane lavorate: il peso delle durate parziali (sotto le 24 settimane nell’anno) è aumentato del 33% (da 173.000 a 230.000 addetti) mentre il numero di lavoratori domestici full year - che comunque resta il gruppo più numeroso, pari al 56% dei lavoratori domestici - si è leggermente contratto (-2,7%) (Tabella 1.26). Analoga linea di lettura si può dare per la crescita maggiore delle colf rispetto alle badanti (+8,5% contro + 6,5%) come pure dell’incremento degli orari settimanali inferiori alle 24 ore, discrimine tra l’altro per lo status di conviventi, rispetto a quelli superiori (+15,1% contro +2,8%).
La crescita di queste componenti di presenza (ancora) parziale spiega la riduzione della retribuzione annuale media, scivolata da 6.938 euro a 6.416 (-7,5%); anche la retribuzione media settimanale ha conosciuto una contrazione, scendendo da 169 a 165 euro, pari al -2,3%.46 Poco meno di un quarto dei lavoratori domestici – in particolare i più stabili tra i non conviventi - ha percepito la speciale indennità disposta dal Decreto Rilancio del maggio 2020.