(Adnkronos) - Cambiamenti nei sistemi educativi, nel rapporto tra scuola e lavoro, nell’accesso al lavoro e nei servizi alle persone: sono le azioni da intraprendere subito per intervenire sull’annoso problema della disoccupazione giovanile e tentare di invertirne la tendenza. E’ quanto emerge dall’ultimo numero di ‘Labour issues’, l’Osservatorio trimestrale sul mercato del lavoro realizzato da Cida e Adapt.
“Con il nostro Osservatorio - spiega il presidente di Cida, Mario Mantovani nel suo editoriale - vogliamo fornire una lettura attenta dei dati, in modo che l’analisi aderisca il più possibile alla realtà e la sintesi contenga gli elementi per formulare soluzioni ai problemi riscontrati.
“Nel caso della disoccupazione giovanile - sottolinea - disaggregando i dati per genere, regione, titolo di studio e concentrandoci sulla fascia d’età 25-34 anni, il quadro appare meno nebuloso e possiamo imputare le difficoltà delle giovani generazioni ad accedere al mercato del lavoro, ad alcune debolezze profonde del sistema scuola-lavoro, ampie ma non generalizzate. Ad esempio, la percentuale di laureati e diplomati in discipline tecniche molto inferiore alla media europea; l’elevato tasso di abbandono scolastico dei giovani maschi, specialmente nelle regioni del Centro-Sud; il difficile passaggio dalla scuola al lavoro delle giovani donne, specialmente al Meridione. C’è inoltre da dire che i bassi numeri di giovani donne occupate hanno una chiara correlazione con le necessità di cura degli anziani e dei bambini".
“Se questa è la situazione - avverte - la risposta ‘politica’ deve essere altrettanto ampia ed articolata intervenendo, come dicevamo, nei sistemi educativi, nel rapporto tra scuola e lavoro, nell’accesso al lavoro e nei servizi alle persone. Su quest’ultimo punto, ad esempio, occorre rendere omogenea l’offerta in tutto il Paese, a costi accessibili, utilizzando anche la leva fiscale per scoraggiare il mancato ingresso o l’uscita dal lavoro".
“Altro nodo da sciogliere - continua Mantovani - è quello sull’efficienza della ripartizione delle competenze tra Stato e regioni in ambito di accesso al mercato del lavoro. È evidente che tale ripartizione non consente di ridurre i gap tra i territori, ma probabilmente favorisce le azioni nelle regioni più ricche e organizzate. Non si può quindi criticare tout-court, occorre però intervenire dove l’azione regionale non ha i mezzi e le capacità per centrare gli obiettivi.
"Inoltre - afferma - c’è da considerare l’aspetto demografico: negli ultimi 10 anni, la numerosità della fascia d’età 25-34 anni si è notevolmente ridotta, passando da 7.459 del 2010 ai 6.453 giovani del 2020. Questa situazione non è tipica soltanto del nostro contesto nazionale ma accomuna la maggior parte dei Paesi europei, benché in Italia si aggiunga a una forte dinamica di invecchiamento della popolazione. Questo vuol dire che nei prossimi due decenni, per una ragione di per sé negativa, cioè la costante diminuzione delle coorti più giovani, avremo un compito in parte semplificato: numeri più bassi significano maggiori risorse e potenzialmente maggiore capacità di affrontare i problemi in modo mirato. Si tratta dell’ennesima occasione da non sprecare".